Fonte: libertàepersona.org
“Quando si compie un abuso nella celebrazione della sacra Liturgia, si opera un’autentica contraffazione della Liturgia cattolica.” R.S. 169
Sono passati ormai tredici anni da quando è stato pubblicato il documento “Redemptionis sacramentum”, riguardante alcune cose che si devono osservare ed evitare circa la Santissima Eucaristia, ad opera della Congregazione del Culto Divino. Questo documento nasceva dopo un travaglio durato quasi quarant’anni, ovvero dalla “riforma” liturgica di Paolo VI, nel tentativo di riequilibrare certi eccessi e “senso di creatività” in ambito liturgico nel post Concilio. Per i membri della Congregazione i meriti derivanti dalla riforma liturgica del Vaticano II sono rilevanti, tuttavia “non mancano delle ombre”, come ebbe a dire anni prima Giovanni Paolo II. “Non si possono, pertanto, passare sotto silenzio gli abusi – recita il testo – anche della massima gravità, contro la natura della Liturgia e dei sacramenti, nonché contro la tradizione e l’autorità della Chiesa, che non di rado ai nostri giorni in diversi ambiti ecclesiali compromettono le celebrazioni liturgiche. In alcuni luoghi gli abusi commessi in materia liturgica sono all’ordine del giorno, il che ovviamente non può essere ammesso e deve cessare”. Se si fa una rapida ricerca su internet, si scopre che la parola “abuso/i” compare nel documento (relativamente breve!) ben 34 volte. Praticamente, denuncia il documento, non c’è ambito e momento della Sacra Liturgia che sia oggi risparmiato da pericolosi e inammissibili abusi, che «contribuiscono ad oscurare la retta fede e la dottrina cattolica su questo mirabile Sacramento» (Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 10). Ne riportiamo alcuni. Si parte dalla partecipazione “attiva” dei fedeli laici. Se da una parte il documento ricorda come la partecipazione costituisca qualcosa di più una mera presenza ma bensì di “un vero esercizio della fede e della dignità battesimale”, dall’altra parte si precisa che la partecipazione non vuole assolutamente dire che i fedeli siano coinvolti materialmente in una attività, “come se ognuno debba necessariamente assolvere ad uno specifico compito liturgico”.
Il centro della Liturgia, ricorda sempre il documento, non sta tanto nell’aspetto conviviale, di per se poco significativo se non vissuto alla luce della natura “sacrificale dell’Eucaristia […] considerata tra i principali criteri per una piena partecipazione di tutti i fedeli”. «Spogliato del suo valore sacrificale, il mistero viene vissuto come se non oltrepassasse il senso e il valore di un qualsiasi incontro conviviale e fraterno» (Giovanni Paolo II). Nella celebrazione invece si deve porre particolare attenzione sia alla materia della Santissima Eucarestia (pane azzimo e preparato con frumento, vino ottenuto da vite naturale) che alla Preghiera Eucaristica. Quest’ultima essendo “il culmine dell’intera celebrazione”, va recitata esclusivamente dal sacerdote nel silenzio dell’assemblea. Non devono, perciò, sovrapporsi “altre orazioni o canti, e l’organo o altri strumenti musicali tacciano”. Costituisce un grave abuso, invalso in alcuni luoghi, di spezzare l’ostia al momento della consacrazione, “tale abuso si compie, però, contro la tradizione della Chiesa e va riprovato e molto urgentemente corretto”.
Attento deve essere anche il decoro per l’altare e per i paramenti e “sacri lini che splendano, secondo le norme, per dignità, decoro e pulizia”, e la celebrazione accompagnata da “idonea musica sacra”. Anche il rispetto per le rubriche le formule liturgiche deve essere scrupolosamente rispettato: “Si ponga fine al riprovevole uso con il quale i Sacerdoti, i Diaconi o anche i fedeli mutano e alterano a proprio arbitrio qua e là i testi della sacra Liturgia da essi pronunciati. Così facendo, infatti, rendono instabile la celebrazione della sacra Liturgia e non di rado ne alterano il senso autentico”. La parola dei ministri è, dunque, elemento essenziale anche nell’omelia, la quale si deve centrare “strettamente sul mistero della salvezza…[cercando di] non svuotare il senso autentico e genuino della parola di Dio, trattando, per esempio, solo di politica o di argomenti profani o attingendo come da fonte a nozioni provenienti da movimenti pseudo-religiosi diffusi nella nostra epoca”. Infine va considerato nel modo più severo l’abuso di introdurre nella celebrazione della santa Messa elementi contrastanti con le prescrizioni dei libri liturgici, desumendoli dai riti di altre religioni.
Anche le disposizioni per ricevere la santa Comunione devono seguire un preciso cammino. La Congregazione ricorda come la “l’atto penitenziale collocato all’inizio della Messa…ha lo scopo di disporre i partecipanti perché siano in grado di celebrare degnamente i santi misteri…e non si può ritenere un sostituto del sacramento della Penitenza” in quanto sprovvisto dell’efficacia del sacramento stesso. Viene, dunque, richiesto ai parroci di curare la catechesi su questo fondamentale aspetto per aiutare i fedeli ad accostarsi degnamente al sacramento della Comunione. Il fedele riceve la Comunione in ginocchio, nel caso in cui decida di prenderla in piedi faccia “la debita riverenza”. Ovviamente un ministro non può rifiutare la Comunione ad un fedele (che non sia impedito dal diritto) per il semplice fatto, ad esempio, che voglia riceverla in piedi o in ginocchio. Nei casi stabiliti dalla Conferenza dei Vescovi, la Comunione può esser ricevuta anche sulla mano ponendo “particolare attenzione che il comunicando assuma subito l’ostia davanti al ministro”. Per la conservazione dell’Eucarestia l’Istruzione prevede che “il Santissimo Sacramento sia conservato nel tabernacolo in una parte della chiesa di particolare dignità, elevata, ben visibile e decorosamente ornata, nonché, in virtù della tranquillità del luogo, dello spazio davanti al tabernacolo e della presenza di panche o sedie e inginocchiatoi, «adatta alla preghiera»”.
Ci domandiamo oggi quanti sacerdoti tengano conto di questa importante istruzione (in quanto riguarda la celebrazione dell’Eucaristia, centro di tutta la vita cristiana). Sotto il pontificato di Benedetto XVI abbiamo assistito al tentativo di dare nuovo e deciso vigore a quella che in diversi hanno chiamato “la riforma della riforma liturgica”, in particolare con la pubblicazione del motu proprio “Sommorum Pontificum” e dell’esortazione “Sacramentum caritatis”. Ci chiediamo cosa sia rimasto, a distanza di pochi anni, di questo coraggioso ma indispensabile tentativo.